Voci, colori, suoni, silenzi della natura


Chiostro Palazzo di Monte, Monte San Savino

Federica lotti

Federica Lotti – flauto

Matteo Liva – pianoforte

musiche di: Gubaidulina, Pasquotti, Messiaen, Ambrosini, Schubert

ingresso 8,00 Euro – ridotto 5,00 Euro

Sofia GUBAIDULINA – Klänge des Waldes (1978)

1931

Corrado PASQUOTTI – Silentia lunae (1989)

1954

Olivier MESSIAEN – Le merle noir (1951)

1908 -1992

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Claudio AMBROSINI – Pagine da “Erbario alpino” (2012) esecuzione prima, in itinere

1948 

1-Bosco primo

2-Erba viperina

3-Bosco secondo

4-Raponzolo di roccia

 5-Bosco terzo

 6-Astranzia maggiore e Soldanella alpina

 

Franz SCHUBERT – Introduzione, Tema e Variazioni sul “Trockne blumen” op.post.160 D802

1797 -1828                

 

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Sofia Gubaidulina è un personaggio eccentrico e ricco di spiritualità, disapprovata dal Sindacato dei compositori dell’URSS fino a tutti gli anni ’70. Per questo la sua musica fu etichettata come “irresponsabile” fin dal periodo dei suoi studi nell’ex Unione Sovietica, per le sue “esplorazioni alternative”. Fu sostenuta da Dimitri Schostakovich il quale, nel valutare il suo esame finale, la incoraggiò a continuare per la sua “cattiva strada”. Ma, nonostante tutto, le fu permesso di esprimere il suo modernismo. Importante, nella concezione musicale di Gubaidulina, l’aspetto simbolico:« Il simbolo di per se stesso è un fenomeno vivo. Cosa vuol dire simbolo? Secondo me la massima concentrazione di significati, la rappresentazione di tante idee che esistono anche fuori della nostra coscienza e il momento in cui questa apparizione si produce nel mondo: questo è il momento di fuoco della sua esistenza, perché le molteplici radici che si trovano al di là della coscienza umana si manifestano anche attraverso un solo gesto”. Klänge des Waldes, del 1978 , è un pezzo essenziale, quasi naif, semplice  delle sue onomatopee sonore ma profondamente evocativo del brulichìo verde e luminoso che si muove e vive proteiforme dentro ogni foresta.

 

Il flauto e il pianoforte come strumenti per illustrare un pensiero logico, serrato, all’interno di una struttura compatta ma a maglie larghe. Come un cielo denso di nubi, da cui a tratti appare la luna, che con la sua luce silenziosa attrae lo sguardo pur restando lontana.

Corrado Pasquotti completa Silentia lunae nell’autunno del 1989. Affida al flauto il grande arco di un’esposizione articolata, irta di difficoltà ritmiche e di emissione – soprattutto sugli “armonici”, effetto sonoro ottenuto da pressioni diversificate su stesse diteggiature, che crea l’affascinante risultato di suoni algidi e trasfigurati. Chiede al pianoforte, in una scrittura ora densa ora più rarefatta, di fare da contraltare al canto e di riempire le sue pause – cioè i silenzi, appunto – nel momento in cui il lirismo resta sospeso, si interrompe. Canto che poi si interseca con forme complesse fino a svanire in un lungo trillo finale, quasi un pedale su cui il pianoforte tesse le sue ultime, agguerrite battute. Dedicato alla memoria di Armando Gentilucci, straordinario personaggio di musicista  ed intellettuale italiano oltre che grande amico, scomparso proprio in quell’autunno 1989.

 

Le merle noir (in italiano Il merlo) del compositore francese Olivier Messiaen è un brano scritto nel ’51 per testare le abilità dei flautisti che desideravano accedere al Conservatorio di Parigi, dove lui all’epoca insegnava. Si tratta del suo più breve pezzo: dura poco più di cinque minuti. Messiaen era ornitologo, particolarmente interessato al canto degli uccelli. Benché non si tratti della prima opera in cui vengano utilizzate trascrizioni di tali canti e gorgheggi, Le Merle noir è però la prima ad essere basata integralmente su questo soggetto e prefigura molte opere successive nate dalla stessa ispirazione. Nato sulla base di una commissione, in realtà nelle mani di un musicista come Messiaen – amante della Natura, dei suoi splendori catartici fatti di dettagli apparentemente semplici e degli stupori che essa ispira, così come compositore dalla scrittura sapiente e libera al tempo stesso – questo brano è il frutto di un’ osservazione amorevole e attenta, nel riprodurre quanto un merlo è capace di fare pur senza conoscere il solfeggio…

 

Dopo la recentissima composizione dell’Erbario spontaneo veneziano (per violino e pianoforte), l’Erbario alpino viene concepito quasi come unpendant: il primo riguardava la flora spontanea lagunare/marina, il secondo esamina invece quella di montagna. Claudio Ambrosini raccoglie in una ghirlanda delle miniature per un’altra coppia di strumenti – stavolta il flauto ed il pianoforte. In ognuna di esse si può trovare una vaga allusione al colore, alla forma e al profumo di una piantina o di un fiore montano. Ogni piccolo frammento racchiude esperienze, ricordi, affetti, passioni, con sullo sfondo l’amicizia – come quella per i Rigoni Stern ad Asiago – , le  lunghe passeggiate spesso solitarie delle vacanze in montagna, l’amore  per la botanica, perfino il servizio militare negli Alpini… Ma da compositore attento e sensibile alla materia sonora ed alle sue possibili trasformazioni, Ambrosini non è certo interessato a musica “descrittiva”: anche qui, infatti, continua la sua ricerca instancabile intorno alle diverse tecniche di emissione del flauto o di generazione del suono del pianoforte. Perché l’occhio ascolti, l’orecchio annusi, e la mente sia libera di toccare e immaginare. Nuovo lavoro, di cui stasera vengono eseguite in prima assoluta alcune pagine.

 

Nell’epoca non troppo felice per il flauto, in cui il suo repertorio cameristico si limita ad annoverare numerosissimi pezzi di virtuosismo da salotto (quasi sempre variazioni di bravura su temi d’opera et similia) rimanendo tristemente carente di grandi composizioni, il viennese Franz Schubert nel pieno della sua maturità espressiva scrive le Variazioni D 802  Op.post. 160 per flauto e pianoforte sul bellissimo e struggente lied n.° 18 Trockne Blumen (Fiori appassiti) tratto dalla raccolta “Die Schöne Müllerin” (La bella mugnaia). Il testo del lied allude al mesto epilogo di un amore infelice: un giovane vede deluse le sue speranze visto che la bella mugnaia di cui si è innamorato, dopo avergli accordato il suo favore, s’invaghisce di un cacciatore di passaggio. Incapace di resistere al dolore subìto, il giovane si rivolge ai fiori suggeriti dal titolo, quelli ormai irrimediabilmente appassiti che la ragazza gli aveva donato e che bagnati di lacrime saranno portati fin nella tomba. Sintomatico del modo prettamente romantico d’intendere la Natura come specchio dei sentimenti vissuti, tutto il ciclo del “Die Schöne Müllerin” ruota intorno ai due elementi  dell’acqua del ruscello – amico trasfigurato del giovane protagonista, che prima gli fa incontrare l’amore e poi lo culla dolcemente mentre si avvicina alla morte – e dei fiori -  pegno di felicità, simbolo di fedeltà e speranza.

 

Note a cura di Federica Lotti